Londra, la Brexit e il servizio sanitario

 

Esperienze anglosassoni di un giovane medico in trasferta.

 

Dopo 6 mesi in questa città sono per la prima volta in cerca di un appartamento. Quando ho deciso di venire qui il Dott. Stefano Sartini stava tornando in Italia e ho ereditato da lui il pacchetto completo: lavoro, casa, e coinquilino italiano. Per gli ultimi 3 mesi di permanenza devo abbandonare la mia piccola enclave tricolore e ho iniziato il tour forzato degli appartamenti. In realtà non vedevo l’ora di farlo, non si ha tutti i giorni la possibilità di ficcare il naso nella casa e nella vita della gente con tanta facilità.Ho visitato appartamenti ben al di fuori della mia portata solo per la curiosità di farlo e in stanze da più di 1000 pound al mese in appartamenti da qualche milione di sterline, dentro e fuori nulla sembra fatto per durare. Gli infissi scrostati, le moquette luride, le cucine di qualità infima, i front e i back yard che sono foreste di rovi. Non è solo questione di igiene, lo sappiamo che siamo un popolo schizzinoso e che tutti gli altri sono sporchi. È che qui tutto è temporaneo. La gente a Londra generalmente non ci vive, ci passa soltanto per un certo periodo. Sei mesi, un anno, due al massimo “poi non so cosa farò”. Lungo le scale mobili e i tunnel della metropolitana ogni 30 cm c’è un pannello pubblicitario: musical, mostre, eventi, spettacoli. Si è sommersi di cose da fare. La vita nella città non è caotica ma è stressante perché c’è così tanto che se si resta a casa ci si sente in colpa. Hai il mondo intero a 5 fermate di metropolitana e allora perché leggere un libro sul divano quando puoi farlo a Kyoto Garden. Perché guardare Netflix in salotto quando puoi andare a un rooftop cinema e incrociare gli occhi tra il maxischermo e il cupolone di St Paul’s Cathedral. Perché fare colazione a casa quando puoi farla tra la Stele di Rosetta e i marmi del Partenone. Perché bere una birretta sul divano quando puoi farlo al Pub on the Park a London Fields e conoscere ogni giorno gente nata ad Hong Kong, cresciuta in Israele, che ha studiato in America e domani parte per 6 mesi in bicicletta intorno al mondo.

E poi all’improvviso ci è arrivata addosso la Brexit. Forse ho il “bias” di tutto quello che si è scritto e detto, ma quella mappa gialla e blu exit-remain l’abbiamo vista tutti e i confiniti tra Londra, l’Inghilterra e la Scozia sono indiscutibilmente netti. E infatti a sole 53 miglia da Westminter sembra davvero di essere in un paese diverso. Ho letto, che qui la gente è significativamente meno istruita, più povera, meno white-collar e più redneck; non so quanto sia vero ma sembra davvero di essere in un paese diverso. Forse parte di questo voto è stato un voto di rivalsa verso una città inglese solo sulla carta, Londra, che ha costruito la sua ricchezza sulla speculazione e non sul lavoro vero e della cui ricchezza economica e culturale godono forse di più immigrati ed emigrati di quanto godano gli inglesi.

Ma in questo paese ci sono venuto per lavoro e il mio lavoro è il medico d’emergenza di certo non la sociologia. Prima di partire mi sono sempre fatto una domanda, perché la Medicina d’Emergenza è una realtà consolidata in UK e nei paesi anglosassoni ma non lo è in Europa?

Il sistema anglosassone è completamento diverso dal mondo al quale siamo abituati. Quando guardiamo Grey’s Anatomy, House o altri medical drama ridiamo per quanto inverosimili siano alcune situazioni. La cosa che mi ha sempre disturbato di più è che lo stesso personaggio, che magari vuole fare il chirurgo, sia oggi di turno in PS a fare punture lombari e intubare, domani ortopedico, qualche giorno in sala operatoria e nel frattempo magari anche ginecologo e pediatra. Tutto questo è in realtà molto più simile alla vita reale negli ospedali UK di quanto potessi immaginare. La formazione qui è molto più lunga: 2 anni di Foundation Programme obbligatorio per tutti, in cui si ruota tra medicina, chirurgia, pronto soccorso e generalmente ORL, ginecologia, pediatria e psichiatria, non come osservatori ma con responsabilità clinica diretta. Poi, se si entra in una scuola di specializzazione, 2-3 anni di tronco comune tra reparti più o meno affini ma spesso, prima di intraprendere una determinata carriera, i nostri colleghi fanno qualche lavoro temporaneo, per il solo scopo di fare qualche esperienza diversa. Nei successivi 3-5 anni di specialità e spesso anche da Consultant si continua a vedere malati di ogni tipo, in particolare per quanto riguarda l’area medica.Nella pratica quotidiana in pronto soccorso è normale lavorare fianco a fianco a un collega che per i quattro mesi precedenti era il tuo consulente ORL e per i 4 mesi successivi accetterà i tuoi malati chirurgici. L’internista di guardia, uno solo per tutti i ricoveri dell’ospedale, può essere oggi un cardiologo e domani un gastroenterologo ma tutti sanno gestire un NSTEMI, uno shock settico e tutti eseguono senza problemi le procedure base come punture lombari o drenaggi toracici.Per essere sicuro un sistema basato su personale junior, molto preparato ma poco esperto, non residente e che continuamente ruota tra reparti e ospedali diversi, necessita di una profonda standardizzazione della pratica medica su tutti i fronti.
Non si può ricoverare qualcuno perché “è un brutto malato”, ma dal momento dell’ammissione il paziente deve avere una diagnosi, almeno provvisoria, e un percorso diagnostico-terapeutico condiviso tra PS e reparti.
La medicina si fa come dicono le linee guida NICE, perché un malato che è ricoverato per iperpotassiemia difficilmente verrà visto più di due volte dallo stesso medico durante il ricovero e quindi non può essere trattato sull’esperienza o le preferenze personali di chi è di turno in quel momento. Per questo motivo i dosaggi, le diluizioni e gli schemi di somministrazione dei farmaci sono standard in tutti gli ospedali.
Persino l’organizzazione interna, i servizi, le unità di misura e i valori di riferimento dei laboratori sono uguali tra ospedale e ospedale.Il medico d’emergenza è quindi il prodotto naturale di un sistema basato su medici molto più generalisti di noi, con un bagaglio di competenze e procedure di base condiviso da tutti, dallo psichiatra al rianimatore.  A tutti è richiesto di saper fare un po’ di tutto, nessun malato o procedura è di proprietà di alcuno specialista. Il medico d’emergenza è anche una necessità in un sistema con una grave carenza cronica di medici, dove gli specialisti sono molto pochi e molto occupati, e possono farsi carico solo dei pazienti veramente di loro competenza e l’ottimizzazione della fase di ammissione del malato in ospedale è necessaria per garantirne la sopravvivenza. Il punto di forza dei nostri colleghi oltremanica è la loro capacità di rapportarsi alla pari con qualsiasi altro specialista, portando alla loro attenzione problemi chiari, ben determinati, e non risolvibili in altro modo se non con il loro intervento. La loro completa autonomia professionale anche in ambiti più affascianti di un sanguinamento vaginale o un ascesso tonsillare, come ad esempio il trauma e il paziente critico, è una conseguenza di questo sforzo continuo nell’essere ai massimi livelli nella medicina primaria, che rende il PS un sistema chiuso e non un centro di smistamento.

La settimana scorsa sono andato in barca a vela con il mio Prof e un collega GP. Per la prima volta dopo 6 mesi ho superato l’M25 e sono uscito dalla Greater London per trovarmi in Essex. Dopo una mezzoretta di motorway attraversiamo il London Orbiter ed eccoci in mezzo alla campagna inglese. Percorriamo diverse miglia su strade strette e quasi deserte, superiamo campi, campi e ancora campi. Ogni tanto case sparse e poi almeno un paio di miglia prima trovare una baracca o un trattore. Arriviamo a Burnham-on-Crouch, 7000 anime sulla sponda nord di un fiume di fango che sbocca nel mare del nord. Il livello del fiume varia fino a 6 metri con le maree e alcune chiatte sono in secca sulle rive. Siamo quasi gli unici a navigare nonostante il meteo favorevole e il massimo della vita è una famiglia che beve birra sulle terrazze dello yacht club. La sera devo tornare in città con il treno e mi incammino a piedi verso la stazione, lungo il tragitto non incontro quasi nessuno e le case hanno giardini curati, fiori sui balconi, nel porto vecchie chiatte trasformate in houseboat sembrano piccoli orti botanici. La poca gente che incontro ha un accento diverso, o meglio tutti hanno lo stesso accento e tutti parlano la stessa lingua. Non esiste un centro del paese ma solo una strada principale con Tesco Express e un piccolo cinema, chiuso nonostante siano le 6 di una domenica pomeriggio.

Prendo il treno, mi addormento, e mi risveglio di nuovo in un altro mondo.