L’ECG nel paziente ipotermico

Interpretazione

Diversi artefatti da movimento, presenza di bradiaritmia con fc di 40 bpm, onda P non valutabile, verosimile blocco atrio-ventricolare completo, QRS slargato con piccola deflessione positiva che segue l’onda R (onda di Osborn).

Breve storia clinica

Intorno ai primi di febbraio di qualche anno fa, l’ambulanza del 118 arriva in Pronto Soccorso con un paziente di 57 anni che è stato trovato a casa riverso sul pavimento, ove probabilmente giaceva da almeno 48 ore. Il paziente è in coma (GCS 7),

le pupille appaiono in lieve midriasi e sono iporeagenti, presenta evidenti segni di decubito all’emisoma dx, non vi sono altri segni di traumatismo, la cute è fredda e disidratata, l’obiettività respiratoria ed addominale è nei limiti di norma, la PA è 120/70 mmHg, la FC 43 bpm aritmica, satura 97% con FR 18 atti/ min, con il termometro in dotazione al PS non è possibile rilevare la temperatura corporea. I familiari, che hanno allertato i servizi di emergenza poiché da tre giorni non riuscivano a mettersi in contatto con il paziente, riferiscono un’anamnesi di depressione maggiore, alcolismo e tabagismo; è probabile che il paziente abbia abusato di farmaci sulla base del ritrovamento sul posto di un blister quasi vuoto di alprazolam. Si procede ad intubazione orotracheale ed inizio di ventilazione meccanica. La clinica ed i segni elettrocardiografici fanno sospettare una sindrome da ipotermia e pertanto vengono avviate immediatamente misure di riscaldamento attivo con soluzioni saline reidratanti intravenose riscaldate 500+500 ml e con coperta ad aria termoventilata a 38°C.

Dal catetere vescicale vengono recuperate circa 500 ml di urine ipercromiche. La radiografia del torace mostra: “assenza di alterazioni parenchimali addensanti con diffusa accentuazione diffusa della trama polmonare, mal visualizzabili gli sfondati pleurici. Nei limiti le dimensioni cardiache, arco aortico discretamente ectasico”. La Tc encefalo mostra:“non segni di sanguinamento intra ed extraparenchimale in quadro di iniziale sofferenza vascolare cronica, in asse le strutture mediane, non fratture della teca cranica”. Gli esami ematochimici mostrano un quadro di rabdomiolisi con CPK 12187 U/l e mioglobina 19852 ug/L, creatinina 3,51 ,mg/dl, urea 207 mg/dl. AST 373 U/l, ALT 189 U/l, all’emocromo si rileva una lieve leucocitosi neutrofila con piastrinopenia, INR 1,78. Lo screening per sostanze mostra alcolemia 0,81 g/dl. Il paziente viene ricoverato in Rianimazione, dove all’ingresso viene
riscontrata una temperatura corporea (rilevata con metodo cruento) di 34,1°C. Il paziente viene sottoposto ad efficace riscaldamento e, pur rimanendo critiche le condizioni generali, il quadro elettrocardiografico si modifica sostanzialmente: compare un ritmo sinusale, vi è la scomparsa dell’onda di Osborn con normalizzazione del QRS e permanenza di QT lungo. Nonostante diverse sedute di emodialisi, l’infusione di vasopressori e ventilazione
meccanica assistita il paziente decede dopo circa tre giorni a causa di insufficienza respiratoria ed insufficienza renale con necrosi tubulare acuta.

Le ipotesi diagnostiche

La registrazione elettrocardiografica nel paziente ipotermico può mettere in evidenza aspetti tipici e meno tipici, che possono talvolta essere comuni ad altre condizioni cliniche. In base al grado di ipotermia si possono riscontrare diverse alterazioni del ritmo cardiaco: si passa dalla tachicardia delle fasi iniziali alla bradicardia, con possibile evoluzione nelle fasi più avanzate in aritmie ventricolare ed asistolia. Spesso può esservi riscontro di extrasistolia, ritmo giunzionale, fibrillazione atriale a lenta risposta, il QT ed il PR si allungano con comparsa di possibili blocchi atrio-ventricolari di I, II o III grado. Altri reperti elettrocardiografici compatibili con ipotermia sono lo slargamento del QRS con tendenza al sopraslivellamento del tratto ST e talora inversione delle T. Frequentemente possono esservi degli artefatti di registrazione dovuti al tremore muscolare (1, 2, 3).

Il segno elettrocardiografico che risulta più importante ai fini diagnostici nel paziente con ipotermia è l’onda J, anche detta onda di Osborn (fig. 1). È
caratterizzata da una piccola deflessione positiva che segue l’onda R (rimanendo in diretta contiguità con questa) e si inscrive tra il QRS ed il tratto ST, appare come una deflessione positiva nella parte terminale del complesso QRS con elevazione del punto J. È di solito positiva nelle derivazioni precordiali ed è più facilmente riscontrabile nelle derivazioni inferiori (II, II ed aVF), nelle precordiali sinistre (V5 – V6, tab. 1) (4). L’onda di Osborn è generalmente inversamente correlata con la temperatura corporea e tende ad aumentare di ampiezza con l’abbassarsi della temperatura stessa, quando la temperatura corporea scende al di sotto dei 32°C è visibile in circa l’80% dei casi. Le alterazioni elettrocardiografiche in corso di aritmia sono potenzialmente reversibili con il riscaldamento del paziente ed il raggiungimento di una temperatura fisiologica (5,6).

Anche se tradizionalmente l’onda di Osborn viene considerata patognomonica di ipotermia, diversi studi riportano il suo riscontro in pazienti normotermici. Già nel 1994 una review di Patel et al. ha riportato otto casi di riscontro di onda J prominente in pazienti con ischemia miocardica, overdose da aloperidolo, abuso di cocaina, ipertrofia ventricolare (7). Il fenomeno è stato anche documentato in alcuni pazienti nelle fasi immediatamente successive all’arresto cardiaco (8) e con marcata ipercalcemia (9). Ben documentata è inoltre la possibile associazione dell’onda J con patologie del sistema nervoso (emorragia cerebrale, lesioni occupanti spazio), con un fenomeno probabilmente legato all’attivazione della componente simpatica miocardica per la stimolazione anomala delle aree cerebrali corticali che controllano il tono simpatico (10).

 

Un’onda di Osborn particolarmente imponente può talvolta essere confusa con un blocco di branca. Tuttavia i blocchi di branca presentano delle morfologie tipiche che possono essere distinte dall’onda J dell’ipotermia. Il blocco di branca destra presenta QRS allungato (>0,12 sec.), onde R larghe e monofasiche nelle derivazioni I, V5 e V6 (rallentate e con aspetto di solito indentellato), alterazioni secondarie del ST-T in direzione opposta a quella della deflessione prevalente del QRS (ST tendenzialmente sottoslivellato con T invertita in I,V5,V6 e sopraslivellamento con T positiva in V1 e v2).

Il blocco di branca destra presenta QRS allungato (>0,12 sec ) onda R seondaria (R’) in V1 e V2 (rsR’ o rSR’) con onda R’ in genere più alta della R iniziale, alterazioni secondarie del ST-T (T inverita) in V1 e V2, onda S ampia e rallentata in I, V5 e V6. Inoltre per il Per il blocco di branca destro è da ricordare che l’onda R’ ha aspetto appuntito, mentre l’onda J è più arrotondata (4,11).

Come vedremo più avanti, il meccanismo fisiopatologico alla base della comparsa dell’onda J nell’ipotermia non è dissimile dal fenomeno di Brugada che si caratterizza per ritardo di conduzione destro con sopraslivellamento ST e comparsa dell’onda J nelle precordiali destre (da V1 a V3). L’ipotermia, tuttavia, non pone problemi rilevanti di diagnostica differenziale poiché nei soggetti ipotermici l’onda J si osserva in numerose derivazioni (più facilmente
nelle derivazioni inferiori e nelle precordiali sinistre); inoltre sono presenti altri elementi, come l’allungamento generalizzato del QT, assenti nel pattern di Brugada (11).

Il riscontro dell’onda J è possibile anche in corso di sindrome coronarica. Nell’ischemia miocardica acuta (in particolare nell’IMA diaframmatico) il punto J è sopraslivellato e vi è la coesistenza delle alterazioni tipiche di ischemia nelle derivazioni reciproche, la clinica e la caratteristica evolutività del quadro ECG sono gli elementi dirimenti per la diagnosi. Vi è da segnalare in letteratura la descrizione di casi di pazienti con sindrome coronarica che hanno
dato come primissimo segno la comparsa dell’onda di Osborn in assenza di altre alterazioni elettrocardiografiche di natura ischemica, in questi pazienti si è assistito in una fase successiva allo sviluppo dei classici segni elettrocardiografici di ischemia miocardica con documentazione angiografica di sindrome coronarica (8, 12).

Discussion

L’esposizione a temperature molto basse provoca conseguenze sistemiche che interessano gradualmente e progressivamente tutti i settori dell’organismo in relazione al grado di temperatura corporea, alla durata dell’esposizione ed alle condizioni preesistenti. Da un punto di vista fisiopatologico l’ipotermia causa inizialmente un’attivazione del sistema adrenergico a cui consegue aumento della frequenza cardiaca, possibile sviluppo di tachiaritmie, vasocostrizione ed aumento della pressione arteriosa. Il progredire dell’ipotermia provoca depressione della depolarizzazione spontanea delle cellule segnapassi con comparsa di bradicardia che può evolvere fino all’asistolia. Una temperatura corporea al di sotto dei 30°C aumenta l’irritabilità miocardica con comparsa di battiti ectopici ventricolari con alto rischio di sviluppare fibrillazione ventricolare. Il cuore del paziente ipotermico è assai suscettibile allo sviluppo di FV in risposta a stimoli elettrici e meccanici, pertanto è sconsigliato l’utilizzo del pacing transcutaneo anche in caso di bradicardia estrema e va adoperata estrema cautela durante il trasporto del paziente per ridurre al minimo le sollecitazioni meccaniche.

Il QRS tende a slargarsi per ritardo di conduzione intraventricolare con sopraslivellamento del tratti ST e talora inversione delle T. La riduzione della temperatura corporea fa sì che la fase sistolica divenga più lenta, a ciò consegue l’aumento del PR e la possibile comparsa di blocchi atrio-ventricolari di vario grado. Inoltre, vi è un allungamento progressivo del QT che può rimanere alterato per diversi giorni dopo il recupero della normale temperatura corporea ed essere predisponente allo sviluppo di aritmie. Il rischio di asistolia nei pazienti gravemente ipotermici rimane alto fino a 72 ore dopo il ripristino di una temperatura fisiologica (4,5,6).

Lo sviluppo dell’onda di Osborn (onda J) non ha una chiara e sicura interpretazione fisiopatologica, ma si ritiene che lo stato ipotermico provochi un aumento della ripolarizzazione nella fase 1 del potenziale d’azione epicardio, a causa degli effetti sui canali del potassio voltaggio-dipendenti con comparsa nelle cellule epicardiche, ma non in quelle endocardiche, di una morfologia del potenziale d’azione a tipo “spike and dome” con un meccanismo non dissimile dal fenomeno di Brugada (13). Recenti studi elettrofisiologici supportati da molte evidenze hanno suggerito l’esistenza di una vera e propria sindrome dell’onda J, ipotizzando l’associazione tra eventi aritmici ventricolari e pattern elettrocardiografici
in cui compare l’onda J. Nel gruppo delle J wave syndromes Antzelevitch et al. hanno proposto di far confluire quadri di ripolarizzazione precoce (con aspetto tipico in inferiore e nelle precordiali laterali), la sindrome di Brugada, l’ipotermia ed alcuni casi di fibrillazione ventricolare idiopatica o in corso di sindrome coronarica in cui la fase acuta del sopraslivellamento del tratto ST ha mostrato comparsa di onda J (14). Tali quadri sarebbero tra loro legati dallo sviluppo di correnti ioniche (ICa, IK-ATP, ITo) che, con genesi assai diversa, intervengono durante la fase iniziale del potenziale d’azione determinando la comparsa dell’onda J (14,15).

Conclusions

Si parla di ipotermia quando la temperatura corporea interna è inferiore a 35°C. L’ipotermia rappresenta un’emergenza medica e viene classificata in lieve (35-32°C), moderata (32-30°C), grave (inferiore a 30°C). Nei soggetti con termoregolazione normale l’ipotermia compare in seguito ad esposizione ad ambienti freddi, ventosi o dopo immersione in acqua fredda. Nei pazienti con alterazioni della termoregolazione, ad esempio gli anziani, può comparire
ipotermia anche in seguito a raffreddamento lieve. Il rischio di ipotermia aumenta con l’assunzione di alcolici o farmaci, la presenza di comorbilità e traumi. Sebbene la diagnosi sia generalmente abbastanza agevole dopo l’iniziale valutazione dei segni clinici vitali, spesso può sfuggire poiché la misurazione della temperatura corporea può essere trascurata o eseguita con strumenti non adatti al rilievo dell’ipotermia. La maggior parte dei termometri normalmente in uso nei DEA, infatti, può solo registrare la temperatura a partire da 34°C, la temperatura corporea nel paziente con sospetta ipotermia dovrebbe essere quindi registrata attraverso termometri tarati per il rilievo di ipotermia o con sonde esofagee, vescicali o timpaniche. Dunque un’attenta valutazione medica e la conoscenza sia degli aspetti clinici che elettrocardiografici dell’ipotermia diventano fondamentali per una corretta diagnosi ed il pronto trattamento di una condizione pericolosa per la vita del paziente. Il trattamento dell’ipotermia deve essere tempestivo e aggressivo, ricordando che l’ipotermia ha effetti protettivi sul cervello e gli organi vitali e le aritmie sono potenzialmente reversibili sia prima che durante il riscaldamento (tab. 2). A 18°C il cervello può tollerare un periodo di arresto cardiaco dieci volte maggiore che a 37°C. Pertanto, in caso di arresto cardiorespiratorio le manovre rianimatorie devono seguire regole specifiche per l’ipotermia (tab. 3), la rianimazione deve essere sempre prolungata, ricordando il banale assioma che il paziente in ipotermia non è mai morto, se non è ‘‘caldo e morto’’!