Treatment of Acute and Recurrent Idiopathic Pericarditis. Leonard S Lilly. Circulation 2013;127:1723-6

Nei paesi più “sviluppati” l’80% dei casi di pericardite riconosce una causa post-virale o idiopatica; il trattamento è per lo più empirico e la gran parte delle raccomandazioni al riguardo si basa su nulla più che opinioni di esperti. Per quanto i sintomi spesso vadano incontro da una attenuazione e risoluzione spontanea, il trattamento con farmaci può accelerare il decorso. Il ricovero ospedaliero è pertanto consigliato solo in particolari condizioni: sospetto o diagnosi di cause non idiopatiche, incipiente compromissione emodinamica, febbre > 38°C, sviluppo subacuto di sintomi che facciano propendere per altre diagnosi (tubercolosi, malattie neoplastiche, uremia, connettiviti), ipotensione, turgore giugulare, entità del versamento pericardico, riscontro ecografico di caratteristiche che indichino un elevato rischio di tamponamento, pazienti immunocompromessi o in trattamento ipocoagulante orale.

Il trattamento della pericardite, oltre a consigliare il riposo e l’astensione dagli sforzi, prevede l’utilizzo di farmaci antinifiammatori non steroidei (NSAIDs – aspirina usualmente considerata come prima scelta, ma il ketorolac è consigliato nei casi con sintomi refrattari, per la durata di 7-14 giorni, poi a scalare secondo evoluzione dei sintomi ed andamento dei marcatori laboratoristici di flogosi quali PCR e VES, consigliando contestualmente il ricorso ai gastroprotettori), colchicina (in classe II A nei casi acuti, con raccomandazione più forte nelle recidive, con ciclo di trattamento di circa 3 mesi a bassa dose, in associazione a NSAIDs) e glucocorticoidi (in grado di accelerare la risoluzione dei sintomi, non di prima scelta nella pericardite acuta idiopatica non complicata, indicati nei casi refrattari al trattamento o intolleranti alla terapia con NSAIDs e colchicina, a bassa dose per 2-4 settimane e poi a scalare).

Il trattamento della pericardite ricorrente (15-30% dei casi) si fonda allo steso modo sulle stesse categorie di farmaci ma con differenti raccomandazioni: per quanto riguarda i NSAIDs si consiglia la riduzione graduale e progressiva della dose per 2-4 settimane dopo il miglioramento dei sintomi; la colchicina, in associazione ad aspirina, riduce il tasso di recidive, e ne è usualmente raccomandato un ciclo della durata di 6 mesi; i glucocorticoidi (prednisone, per lo più) hanno un buon impatto sui sintomi, se ne consiglia un ciclo a basse dosi, particolarmente duraturo, ed uno scalare graduale della dose per prevenire la recrudescenza della sintomatologia: pur aumentando il rischio di recidiva (motivo per il quale non sono caldamente raccomandati nella pericardite acuta) ne è consigliato l’uso in associazione a NSAIDs e colchicina nei soli casi realmente refrattari. 
Vi sono dati scarsi per quantità e qualità anche relativi al ricorso ad altri agenti immunosoppressori (quali azatioprina o methotrexate), immunoglobuline endovena, anakinra (antagonista per il recettore dell’interleuchina-1b), o alla pericardiectomia.