Increasing Critical Care Admissions From U.S. Emergency Departments. Andrew A Herring, et al. Critical Care Medicine 2013;41:1197-204

National Growth in Intensive Care Unit Admissions From Emergency Departments in the United States from 2002 to 2009. Peter M Mullins, et al. Academic Emergency Medicine 2013;20:479-86


È in corso un evidente cambiamento dello scenario dei rapporti tra reparti di Terapia Intensiva (ICU) e Dipartimento di Emergenza (ED). Questi articoli che vi propongo, presentano due interessanti e differenti punti di vista di Autori Statunitensi di estrazione intensivistica sul “nostro” micro-macrocosmo di Medici d’Urgenza. 
Vi è in entrambe le analisi una base variegata ma comune di indiscutibile importanza:

  • all’aumento della necessità e della richiesta di cure (provvedimenti diagnostici e terapeutici) in ambito di Area Critica corrisponde la riduzione delle disponibilità e delle risorse;
  • aumenta parallelamente il numero di ricoveri in ICU provenienti dal ED di pazienti complessi ed acuti il cui iter procedurale di valutazione e trattamento intensivistico-rianimatorio inizia ad di fuori dell’ICU stessa, proprio nel ED;
  • il livello, la durata e la complessità delle cure precoci oggigiorno fornite ai pazienti critici all’interno del ED (ad esempio nei casi di sepsi, infarto miocardico acuto, trauma, stroke, sindrome post arresto cardiaco) è uno dei fattori che contribuiscono alla congestione del ED stesso;
  • la permanenza superiore alle 6 ore nel ED dei pazienti critici è associata ad un aumento della mortalità;
  • la mancata disponibilità di rapido accesso a (posti letto in) aree ad alta intensità di cura prolunga la permanenza dei pazienti nel ED aumentandone ancor più l’affollamento;
  • non è però sufficientemente chiaro, in ultima analisi, che impatto tutto ciò abbia sul tasso di sopravvivenza e mortalità dei pazienti.

Il primo lavoro (Herring, et al) ha valutato come siano cambiate le caratteristiche della permanenza nel ED dei casi poi ricoverati in ICU tra il 2001 ed il 2009, documentando un aumento particolarmente evidente in ognuno dei seguenti ambiti riguardanti i pazienti critici:

  • di quasi l’80% nel numero di valutazioni nel ED (non limitato alla sola popolazione geriatrica);
  • del 75% nella percentuale di ricoveri da ED in ICU; nel tempo di permanenza medio nel ED (da 185 a 245 minuti; aumento più evidente nella popolazione adulta rispetto alla pediatrica) con 1/3 dei casi che supera le 6 ore;
  • di oltre il 200% nel numero di ore dedicate nel corso dell’anno dal personale del ED ai pazienti critici, e di oltre il 300% nel tempo in cui mediamente ogni singolo giorno in ogni singolo ED urbano si è impegnati nella gestione di questi casi (da 1.8 a 5.6 ore al dì).

La casistica di maggiore rilievo ed impegno in tal senso pare rappresentata dai pazienti affetti da sepsi e trauma, da quelli con multiple comorbilità croniche, da coloro che per motivi socio assistenziali probabilmente hanno tardato a rivolgersi a strutture sanitarie per le cure del caso e quindi si sono oltremodo complicati. Assolutamente interessante è anche come, a fronte di un aumento complessivo del 6.5% nel numero di posti letto in ICU, si sia assistito parallelamente ad una riduzione del 12.2% nel numero di ospedali con letti di ICU, il che, secondo l’analisi degli Autori, porta di per sé ad aumentare il tempo di permanenza e l’affollamento nel ED.

Il secondo studio (Mullins, et al) si è concentrato, a partire dai dati presenti un archivio di 4267 ED, in particolare sui casi ricoverati da ED in ICU tra il 2002 ed il 2009 riscontrando:

  • l’aumento nei casi di ricovero da ED in ICU del 48% (14.2% mediamente per ogni biennio, a fronte di un aumento biennale delle visite in ED del solo 5.8%), con incremento relativamente maggiore nel sottogruppo di soggetti di età > 85 anni;
  • l’aumento complessivo nelle prestazioni di diagnostica strumentale per immagini (in particolare tomografia computerizzata e risonanza magnetica) e di laboratorio, ma anche nella percentuale di soggetti che hanno ricevuto somministrazione di farmaci (in particolare endovena) e che sono stati sottoposti ad una procedura interventistica;
  • l’assenza di differenze rilevanti per quanto riguarda l’affollamento del ED ed il tempo di permanenza medio (da 206 a 307 minuti nei casi poi ricoverati in ICU);
  • l’incremento relativo in particolare dei casi in grado di soddisfare i criteri diagnostici di sindrome da risposta infiammatoria sistemica (SIRS) e nei quali i valori pulsossimetrici fossero inferiori al 93%;
  • l’aumento della varietà e dell’eterogeneità della casistica, sia per quanto riguarda il motivo del ricovero in ICU (in particolare dolore toracico, dispnea e dolore addominale) che la diagnosi (in particolare dolore toracico non specificato, scompenso cardiaco congestizio, polmonite non specificata).
  • Analizzando i casi, anche qui emerge come sia la fascia di popolazione più fragile e con maggiori difficoltà di accesso ai servizi sanitari extraospedalieri e di prevenzione a ricorrere più spesso al ED ed a presentarvisi in condizioni di maggiore severità clinica.

In conclusione, considerato quanto esposto in entrambi gli articoli, ne consegue allora come il ED si sia nel tempo dovuto riorganizzare e formare in termini di staff, strutture logistico ambientali e risorse di equipaggiamento e strumentazione per garantire cure intensivistiche oltre che rianimatorie, mutando il proprio ruolo proprio per sopperire alle carenze di capacità e di possibilità nella ricezione da parte delle ICU: ciò ha modificato drasticamente nel tempo il “triage” delle priorità all’interno del ED stesso concentrando personale, tempo e risorse verso la gestione dei pazienti più evidentemente critici a scapito degli altri.