Guardare al trauma da un punto di vista globale

Paolo Groff

La lettura dell’articolo pubblicato da R. Norton e O. Kobusingye su NEJM dedicato al significato globale del trauma come entità nosologica ed epidemiologica (1) stimola alcune considerazioni. Anzitutto di carattere puramente numerico: nel 2010 le morti per causa traumatica registrate nel mondo sono state 5,1 millioni, vale a dire circa una ogni 10 decessi, e tale numero ha largamente sopravanzato quello delle morti correlate all’infezione da HIV, alla tubercolosi e alla malaria prese assieme (3,8 milioni).

I cosidetti paesi in via di sviluppo pagano il tributo maggiore con l’11-12% di morti da causa traumatica sul totale, rispetto al 6% dei paesi a maggiore reddito. Si tratta di una patologia che colpisce prevalentemente i maschi (68%) tra i 10 e i 24 anni d’età (40% dei decessi in questa fascia d’età). Queste proporzioni rimangono sostanzialmente invariate, numericamente e come distribuzione geografica, stratificando il dato rispetto alla tipologia di trauma, considerando cioè i traumi come “non intenzionali” o “intenzionali” (comprendendo in questo caso anche quelli correlati a guerre e conflitti), con la sola eccezione dei suicidi, tuttora più frequenti nelle nazioni ad elevato standard socio-economico.

Oltre ad essere la causa diretta di un numero sproporzionato di decessi, i traumatismi sono responsabili di un’elevatissima prevalenza di disabilità e di altri esiti difficilmente computabili a livello statistico. È stato dimostrato, ad esempio che le vittime di maltrattamento in età infantile soffrono di sequele psicologiche a lungo termine, come ad esempio deficit di autostima, ansia e depressione ed i sopravvissuti a violenza sessuale in età infantile tendono ad avere, in età adulta, comportamenti sessuali ad alto rischio, promiscuità, gravidanze precoci e sono più frequentemente vittime di aggressione sessuale in età adulta.

Questi dati risultano ancora più preoccupanti se si considera che il carico globale del trauma è destinato a crescere nei prossimi 20 anni. Complessivamente, si stima che le morti per trauma correlato ad incidenti del traffico saranno al quinto posto tra tutte le cause entro il 2030, e le morti per suicidio al dodicesimo.

Ancora, i paesi in via di sviluppo pagheranno il maggiore tributo in questo senso e ciò, probabilmente, riflette il previsto incremento della motorizzazione nei paesi a basso standard combinato con la crescente implementazione di efficaci programmi preventivi nei paesi sviluppati.

A fronte di questi dati, il trauma come entità nosologica ha ricevuto fino ad ora un’attenzione discontinua da parte della comunità medica, come dimostra il fatto che molti curricula di studio non prevedono questo argomento e la scarsa copertura dello stesso sulle riviste mediche non “di settore”.

Inoltre, quasi nessun paese prevede, a livello formativo il trauma come argomento specifico di medicina preventiva. Come fatto significativo in controtendenza rispetto a questo, il Global Burden of Disease study (GBD) ha posto il trauma sull’agenda della sanità globale classificando le maggiori cause di morte e disabilità nel mondo in tre categorie:

  • malattie trasmissibili, perinatali e nutrizionali;
  • malattie non trasmissibili;
  • traumatismi (2,3).

Collateralmente al riconoscimento del peso del trauma a livello globale deve crescere il convincimento che rispetto a questo argomento deve essere sviluppato un approccio evidence-based al trattamento e alla prevenzione con un’attenzione pari, almeno, a quella 

devoluta ad altre cause maggiori di mortalità e morbilità. A noi medici dell’Urgenza, tradizionalmente e giustamente sensibilizzati alla “punta dell’iceberg” e cioè alla fase del trattamento efficace, ove moltissimo vi è ancora da fare, rischia di sfuggire, almeno a livello culturale, l’importanza della “parte sommersa” del problema e cioè la prevenzione.

Questa, che dovrebbe avere la massima priorità, risulta efficace, come dimostrato dal dimezzamento della mortalità per incidenti stradali nelle ultime tre decadi in paesi come l’Australia, il Canada o gli Stati Uniti quale risultato di programmi multisettoriali focalizzati non soltanto sui conducenti di mezzi, ma anche sui veicoli, sul sistema stradale e, in misura minore sull’organizzazione e pianificazione del sistema dei trasporti.

Benchè un approccio metodologico rigoroso per valutare l’efficacia di questi interventi preventivi risulti difficile ed i singoli provvedimenti siano stati adottati sulla base di un confronto tra “prima” e “dopo” dei loro effetti su una serie di outcomes non trauma-correlati (modificazione dei comportamenti, delle conoscenze ecc.), non può sfuggire l’importanza della costruzione di un “modo global” di guardare al trauma.

Solamente procedendo con eguale energia all’analisi delle cause e delle possibili strategie per prevenirle, così come allo studio dei possibili approcci di diagnosi e trattamento in urgenza-emergenza e nella fase riabilitativa potremo ritenere di avere finalmente dato al trauma il peso che merita nell’allocamento delle risorse per le cure e la ricerca e nella nostra cultura.